martedì 25 gennaio 2011

Monumento a Giovanni Paolo II






Non è facile parlare dei grandi: di fronte alla loro statura intellettuale e morale ogni parola o azione sembra piccola e inadeguata. Ma con tutta modestia e con la sua comprensione cercherò di spiegare come ho concepito la statua a lui dedicata. Fare oggi delle statue potrebbe sembrare anacronistico, ma non è cosi, soprattutto se pensiamo alle finalità per cui sono create. Lo scopo non è abbellire un certo luogo, nè la sua funzione può essere solo devozionale; ma, come avveniva nell'antica Grecia, si tratta di creare dei punti di riferimento adatti a stimolare le nostre menti, far riflettere ed essere da questi ispirati a "egregie cose". Noi onoreremo la memoria del Papa solo se terremo presenti i suoi insegnamenti. Nel caso del nostro monumento abbiamo ritenuto che più importante della figura del Papa fosse la illustrazione, anche ridotta, del suo messaggio evangelico, primo fra tutti l'invito alla pace e alla riconciliazione.



Questo primo messaggio è stato rappresentato con le colombe e i ramoscelli d'ulivo che il Santo Padre solleva con la mano destra. In basso gli altri richiami alla sua predicazione: davanti a destra, la carità e la solidarietà, rappresentate con dei giovani che stanno offrendo acqua e cibo a un povero denutrito; a sinistra in basso è rappresentata l'accoglienza: una barchetta carica di disperati cerca di guadagnare la riva, mentre qualcuno da terra mette in salvo una creaturina. Salvare una piccola vita vuol dire riconoscere uno dei diritti fondamentali, sancito anche dalla carta dei diritti dell'ONU: il diritto alla sopravvivenza.







Questo episodio mi è stato ispirato da una vicenda personalmente vissuta all'arrivo di una delle tante carrette del mare che arrivavano sulle sponde del nostro Salento. Soprattutto a Otranto, all'epoca dei primi arrivi di immigrati, quando la gente faceva a gara per ospitare a volte anche intere famiglie, consegnando in questo modo alla storia il proprio nome di cittadina ospitale che onora tutto il Salento.



Sempre sul davanti, ma più in alto, un nido formato da ramoscelli d'ulivo nel quale ci sono degli angioletti e dei bambini, simboleggiano le nuove generazioni, che la nostra società ha l'obbligo morale di educare alla pace.





Nella parte posteriore ho voluto sistemare tutto quanto c'è di negativo e che era sempre presente nei discorsi del Santo Padre. La guerra, guerre attuali e guerre passate, che hanno lasciato distruzione e morte; i campi di concentramento, le fosse comuni, le deportazioni e il pianto infinito delle madri che genera un mare di lacrime. A tal proposito tengo a precisare che la morte o il pianto non è di destra, di centro o di sinistra, la perdita di una vita umana è solo il contrario esatto dell'opera creatrice di Dio.




Nella parte posteriore destra, ho rappresentato l'infanzia abbandonata, quella dei diritti negati, quella che, secondo il mio modestissimo parere, costituisce il metro di misura del livello di civiltà di ogni paese: come infatti ebbe a dire un grande scienziato " non c'è vera scoperta scientifica se nel mondo un solo bambino muore di fame".



Tutte queste immagini simboliche sono parte integrante della figura del Papa, espressione visibile dei suoi pensieri.

Donato Minonni 10/05/2007

mercoledì 15 dicembre 2010

TARANTO: MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE - Prima tappa di una bella passeggiata

Approfittando del bel tempo gli amici del Circolo Tennis G.Verardi di Taurisano hanno voluto fare una passeggiata che prevedeva una sosta a Manduria per passare poi a Taranto, Metaponto e infine a Potenza. Manduria con le sue mura messapiche ci ha riportato alla mente i tempi omerici. Qui ai piedi delle mura numerose tombe hanno conservato per secoli dei tesori inestimabili che ora sono conservati in massima parte nel Museo Archeologico Nazionale di Taranto, uno dei maggiori d’Italia, meta obbligata sia per gli studiosi della Preistoria, sia per chi voglia approfondire la conoscenza della civiltà magno-greca, di cui Taranto fu per secoli il centro artistico e politico.

Intorno al 700 a C. alcuni coloni spartani occuparono i territori dove oggi sorge la città di Taranto, contribuendo al suo sviluppo e dando origine ad una civiltà della quale il Museo Archeologico Nazionale conserva testimonianze varie ed accattivanti, provenienti dalle numerose tombe a fossa, a semicamera ed a camera, schiacciate oggi da migliaia di tonnellate di cemento, che formano il tessuto urbano della città di oggi,condito dai veleni provenienti dall’Ilva.

Da queste sepolture provengono i numerosissimi reperti di straordinaria bellezza,che testimoniano l’antica grandezza della città: statue, ceramiche, mosaici, gioielli in oro e suppellettili varie che lasciano col fiato sospeso e riportano alla mente l’antica gloria di questa popolazione.

Le tombe a camera non commemoravano l’esistenza, ma riproducevano, alla maniera delle coeve costruzioni etrusche, l’esistente, la vita e le abitudini del defunto con la chiara intenzione di esorcizzare la morte, consentendo al defunto di ritrovarsi in uno spazio uguale a quello che aveva avuto in vita e seppellendo insieme a lui gli oggetti che avevano accompagnato la sua esistenza. Questa maniera “etrusca” di affrontare il tema della sepoltura è particolarmente interessante anche in considerazione del fatto alcuni elementi dell’arte plastica tarantina (vedi la statua del Poseidone) e alcuni particolari della decorazione ceramica del V° sec. presentano gli stessi elementi della produzione artistica del popolo etrusco: su un cratere è rappresentata, infatti, una chimera straordinariamente somigliante alla bronzea chimera di Arezzo.

Il nuovo allestimento del museo, non ancora terminato – e quando lo sarà? -presenta bellissimi esempi di vetro soffiato, gioielli e oggetti d’arredo e, anche se mancano all’esposizione opere fondamentali come molti mosaici, la statua del Poseidone e il sarcofago dell’Atleta, è possibile ammirare una bella collezione di vasi in ceramica che presentano nella preziosità nella forma e nella decorazione delle figure una qualità riscontrabile solamente ad Atene. Vasi destinati a contenere balsami ed unguenti, contenitori di profumi ed incensi che insieme ai disegni degli abiti eleganti delle figure e ai loro gioielli e alle scene di vita festosa ci parlano di un popolo evoluto e raffinato che sapeva scegliere il meglio della produzione artistica ed artigianale.

Da Corinto, dove venivano fabbricati, venivano trasportati sino alle più remote isole greche e nelle colonie della Magna Grecia.

Taranto nel V° e nel IV° secolo assume nel settore artistico il ruolo di guida. Nelle testimonianze portate alla luce si vede come convivano l’architettura, la scultura e la pittura. In queste sono impressi i caratteri dell’Arte greca in tutta la sua evoluzione. Opere piene di pathos accanto alle quali una ricca produzione di arte popolare, realizzata con semplicità emulando gli schemi e i caratteri dell’Arte aulica. Opere che evidenziano l’insegnamento dei maggiori scultori greci(Fidia, Lisippo, Prassitele, Skopas) accanto ad opere il cui carattere popolare presenta elementi aneddotici e fantastici, tradendo in questo la conoscenza della produzione etrusca evidente anche nelle numerose antefisse a forma di maschere spesso grottesche.

Prassitele e Skopas sono presenti in piccole realizzazioni in cui il candore del marmo traslucido (taxus) accentua la grazia e la femminilità che non è mai volgare e gli atteggiamenti ripresi anche in momenti di intimità sono sempre misurati e casti, più vicini alla cultura greca che alle coeve rappresentazioni realizzate a Pompei.


Taranto – Museo Archeologico Nazionale
Testa di Afrodite di scuola prassitelica (IV sec.a.C.)


Afrodite ed Heros insieme a figure danzanti rese con straordinaria eleganza insieme a figure grottesche, figure emblematiche come l’Ermafrodito (Bernini e Canova molti secoli dopo ne hanno ripreso il tema e la postura) coesistono all’interno delle tombe. La fantasia inventiva a volte stravagante si associa alla ricerca stilistica di opere raffinate come la bellissima Afrodite che sembra l’espressione stessa della bellezza. Qui la grazia, l’eleganza dei tratti, l’espressione pacata e composta rende divino l’umano.

Gli ori, le fibule, i pendenti, le collane come i braccialetti e i diademi sono di una qualità insuperata e sono realizzate con tecniche come la filigrana, lo sbalzo, il granulato, l’incastonatura, il cesello e l’agemina. Oggetti che oggi darebbero, nonostante i progressi della tecnologia parecchio filo da torcere ai moderni artigiani orafi.

E tuttavia sembra impossibile credere che tanta ricchezza e perfezione fosse destinata alla sepoltura. Evidentemente, come d’altronde risulta dalla decorazione ceramica, le belle signore di Taranto e Canosa, di Manduria e di Ruvo che avevano passeggiato per la città sfoggiando i loro monili una volta arrivato il momento del trapasso portavano con se il corredo nell’aldilà.

VITO RUSSO



L’Associazione Culturale “Pietre vive” di Taurisano ha ospitato, da domenica 5 dicembre a domenica 12, una bella mostra di scultura di Vito Russo, un compagno di scuola ed un amico d’infanzia col quale ho condiviso le prime esperienze nel campo artistico, un’amicizia che dura ormai da quasi cinquant’anni.



Le modeste condizioni di vita della sua famiglia contadina, nonché la vicinanza ad un mondo fatto di cose semplici ed essenziali lo portarono da subito ad affrontare temi legati alla millenaria lotta dell’uomo per la sopravvivenza, cercando nelle forme della natura l’essenza della vita nascosta dell’uomo; vita e vitalità che egli esprime in forme essenziali, a volte primordiali al punto da riportare alla mente le prime manifestazioni dell’Arte preistorica, intervenendo appena sia sui tronchi di olivastro, abbondanti nella nostra terra, che sulle pietre raccolte durante le nostre frequenti passeggiate lungo la campagna e la costa salentina.



In questa terra spesso arida, pietrosa che il lavoro millenario dell’uomo ha reso meno avara crescono i nostri ulivi, ma il loro crescere è tormentato quanto l’esistenza dell’uomo. Uomo e natura accomunati dall’immane lotta per la sopravvivenza. Gli ulivi secolari con i loro tronchi nodosi e il loro andamento a spirale ( sempre in senso orario) tradiscono lo loro affannosa ricerca della luce del sole, quello stesso sole che disidrata e rinsecchisce la pelle dei nostri contadini: vento, salsedine e sole hanno plasmato i loro volti e temprato il loro carattere e la loro anima. Questo è il tema dominante della sua opera che si realizza con le tecniche più varie: legno, terra cotta policroma, pietra.



Ancora giovanissimo viene chiamato dal direttore dell’Istituto Statale d’Arte di Lecce Beniamino Barletti ad insegnare discipline plastiche nello stesso Istituto in cui si era appena diplomato; vi rimane per quarant’anni, esponendo nel contempo le sue opere in molte città europee e spingendosi anche in Giappone ottenendo numerosi riconoscimenti.



La sua ricerca formale si fa più sensibile e più attenta verso aspetti più generali della personalità umana, una specie di sguardo oltre il Salento.



La caratterizzazione evidenzia a volte gli aspetti più vari della vita contadina, esaltando la particolare struttura anatomica dei volti e dei corpi che sembrano sottoposti alle stesse forse della natura che hanno creato la forme dei tronchi degli ulivi secolari, a volte invece il candore, la grazia, l’eleganza o la civetteria delle ragazze salentine. Altre volte la corposità matriarcale delle loro mamme.



Col passare del tempo i connotati realistici cedono il posto ad una ricerca formale più sintetica, essenziale, mirata sempre a potenziare l’espressione e i caratteri universali del tema.

Corpi a volte più realistici, a volte filiformi e a volte più opulenti, ricavati nel legno, nella pietra o nel marmo sulla cui superficie la luce trascolora in delicatissimi passaggi mettendo a nudo la preziosità della materia che, come ha fatto giustamente osservare qualcuno, invita alla carezza.

E di carezze bisogna darne proprio tante per rendere lucidissima e traslucida la superficie del marmo.

Questo è infatti uno dei meriti di Vito Russo: aver esaltato la bellezza nascosta dei materiali.

Le forme delle sue sculture, siano esse di grandi che di piccole dimensioni inseguono sempre una bellezza intima che si esprime non solo attraverso il carattere dei materiali ma anche attraverso la sintesi delle forme: composizioni plastiche realizzate con il minimo dei segni e dei volumi e con il massimo dell’espressione.

Un modo di operare che accosta la sua produzione alla scultura cicladica e alla variegata grammatica della scultura europea del ‘900 con echi di Brancusi, F.Harp, E.Moore, Manzù ecc.



Un capitolo a parte à costituito dalla sua produzione di Arte sacra in cui le immagini ora descrivono in modo intensamente realistico, ora evocano con forme più evanescenti e sfumate, personaggi e fatti evangelici, resi sempre con grande maestria e capaci di coinvolgere lo spettatore in un’atmosfera di mistica partecipazione.



Questo eterno ragazzo rimasto semplice e modesto ha inseguito sempre il suo sogno: farsi testimone dei caratteri, delle ansie millenarie dell’uomo, dei suoi aneliti, delle sue aspirazioni e anche, purtroppo, delle sue frustazioni.

Auguriamo a questo Artista di rara sensibilità di continuare a produrre ancora per molti anni nella quiete della sua campagna e in compagnia della sua bella famiglia.



Donato Minonni 7 dicembre 2010

martedì 21 settembre 2010

PABLO PICASSO AL CASTELLO ARAGONESE DI OTRANTO - LA MATERIA E IL SEGNO



Ceramica arcaica greca da Micene IX sec. A.c.



Picasso. Figura antropomorfa - ceramica.


Picasso – La Tauromachia – Acquatinta allo zucchero



Pablo Picasso. Ritratto.




Quest’anno la “pulcherrima Otranto”ci offre, nei luoghi che furono teatro della sua immane tragedia, una mostra particolarmente interessante e, diciamolo pure, inattesa, dato il calibro dell’Artista presentato attraverso opere di ceramica, pittura e grafica.

Picasso (Malaga 25 ottobre 1881-Mougins 8 aprile 1973), artista universalmente considerato il più grande del XX secolo, vulcano prolifico in continua eruzione, ricercatore instancabile di nuove forme espressive e linguaggi artistici nuovi e mai prima esplorati. Creatore di un numero sterminato di opere di pittura,ceramica, scultura realizzate con tecniche innovative, produttore inesauribile di un’arte che è conservata nei più grandi musei del mondo, e in quelli a lui dedicati.

Ossessionato dal desiderio di rappresentare l’umanità nei sui molteplici aspetti e posseduto dal demone della ricerca, affronta il problema della forma con la volontà e l’energia di un bulldozer, tratta lo stesso tema decine e centinaia di volte per ottenere il massimo dell’espressione con il minimo dei segni, raggiungendo a volte una sintesi estrema, inequivocabile e chiarissima, che accosta i suoi disegni a quelli prodotti dall’uomo agli albori della sua civiltà, come si possono vedere nelle grotte preistoriche di Altamira, di Lescaux.o di Porto Badisco: segni apparentemente primitivi, istintivi e sintetici, ma per questo più immediatamente comprensibili e comunicativi nel loro declinarsi.
La paura, la speranza, l’agile corsa che precede l’attacco, lo scatto fulmineo da una parte, mentre dall’altra l’incalzare pauroso della mandria di bisonti che sembrano pronti a travolgere tutto come una grossa frana che viene giù da una montagna. Piccoli uomini affamati e speranzosi contro montagne di carne in corsa pronte a travolgere tutto e tutti.

La maggior parte delle opere esposte nel Castello Aragonese (28 incisioni realizzate con la tecnica dell’acquatinta allo zucchero), hanno per tema “LA TAUROMACHIA”, antico tema che riporta la nostra mente ad Omero o alle sculture fidiache del Partenone. Qui, però, l’atmosfera è spagnola, l’azione si svolge sempre nell’arena in una specie di danza che vede contrapposta l’eleganza dell’uomo alla forza bruta del toro. L’uomo col suo carico e d’intelligenza e ferocia che lotta per vincere le forse della natura.

Nelle incisioni, realizzate quasi tutte nel formato di cm. 29 x 59, negli anni 1957-58 sono rappresentate tutte le fasi della corrida, Picasso sembra un reporter che riprende ogni istante dello spettacolo e lo fissa con l’intenzione di evidenziarne tutti gli aspetti caratteristici: l’esultanza della folla, l’irruenza dei tori, la fermezza del toreador, e la ferocia dei matadores; ogni fase è vista con occhio attento, per esaltare il carattere di uomini e cose attraverso una visione ultra sensibile e l’Artista, con tocchi sicuri, essenziali, ridotti ai minimi termini, suggerisce anche lo spazio dell’arena dove si muovono come ombre cinesi attori e comparse.
C’è in queste incisioni una gestualità sicura, impeccabile che per alcuni versi attrae lo spettatore, specialmente chi del disegno ha fatto la sua professione.

Ho rivisto tre volte la mostra, sono convinto infatti che per “vedere” bisogna “guardare” più volte in un certo modo e con l’intenzione di scoprire. Non è vero che è la prima impressione quella che conta, il rischio di essere superficiali è sempre incombente. Una cosa mi ha lasciato alquanto perplesso: la qualità delle stampe che, per essere state realizzate con la tecnica dell’Acquatinta allo zucchero ( tecnica che da alle stampe un effetto di finissima puntinatura con cui si modulano i diversi toni di chiaroscuro) in realtà risultavano a volte piatte o “bruciate”.
Più evidenti le sottigliezze nelle riproduzioni del catalogo curato da Orione Srl.
Mi si dirà: com’è possibile? Una risposta io c’è l’avrei…

All’interno della stessa mostra sono esposte anche delle belle ceramiche nelle quali è possibile constatare la passione e, direi quasi, la mania di Picasso per la ricerca formale, e ripropongono spesso temi e soluzioni di opere prodotte dall’artista con altre tecniche.

Realizzate tra la fine del 1947 e la fine degli anni ‘60 ci consentono di avere un quadro abbastanza ampio di una produzione sparsa in numerose collezioni private.

La particolarità che emerge subito è la maniera con cui questo eterno ragazzo gioca con le forme consuete di oggetti comuni trasformandoli, attraverso piccole modifiche, in oggetti unici e particolari. Forme antropomorfe che affondano le loro radici nell’arte arcaica greca di provenienza micenea, in una continua re-invenzione giocosa, realizzata con lo spirito felice di chi si gode la pace domestica alla fine del secondo conflitto mondiale.

L’intera mostra è preceduta da alcune interessanti opere del periodo “Blu” (1904-1905). Un periodo che richiederebbe ben altro spazio, data l’importanza fondamentale che hanno avuto per la notorietà dell’Artista e per i destini dell’Arte europea all’inizio del ‘900.

Ci auguriamo che l’Amministrazione comunale di Otranto moltiplichi queste iniziative affinchè questo piccolo centro del Salento torni ad essere quel crogiuolo di cultura che fu per tanti secoli.


D. Minonni - 2 settembre 2010

lunedì 9 agosto 2010

CARAVAGGIO ALLE SCUDERIE DEL QUIRINALE


All’appuntamento con l’Arte di Caravaggio (1571-1610) siamo arrivati con un certo anticipo e animati da una forte curiosità. Il gruppo del Circolo Tennis Taurisano ha già avuto l’opportunità di conoscere l’artista attraverso le opere esposte a Roma nella chiesa di San Luigi dei Francesi e in Santa Maria del Popolo a Roma, oltre che nel Museo archeologico Nazionale di Napoli, questo forse spiega la curiosità di molti nostri partecipanti.


Stiamo per vedere i capolavori provenienti dagli Uffizi, come il Bacco, o dalla Pinacoteca ambrosiana, come la celebre Cesta di frutta; e ancora da Berlino, come l’Amore vincitore; dal Metropolitan di New York, come I Musici; dalla National Gallery di Londra, come la Cena di Emmaus; Il Suonatore di liuto del Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo ed altre ancora.

Un’impresa ambiziosa realizzata da Rossella Vodret e Francesco Buranelli.


L’enorme afflusso di gente prodotto dalla pubblicità fatta dei Mas media non ha consentito di gustare appieno e con la dovuta serenità le sottigliezze della pittura caravaggesca: le Scuderie del Quirinale sono state infatti prese d’assalto da una folla di visitatori attirati forse dalla curiosità morbosa per l’opera di un artista definito “maledetto” e le cui vicende biografiche sembrano uscite da un giornale di cronaca, di quelli che oggi vanno tanto di moda.

All’interno ci rendiamo subito conto dell’esiguità degli spazi e della difficoltà che avremmo incontrato, l’impressione è stata quella di una folla che si accalca al passaggio di qualche celebrità.

Decido così di presentare l’opera caravaggesca raccogliendo il gruppo in uno spazio cieco vicino alle biglietterie, miracolosamente lasciato libero.
Spiego la sua avventura pittorica che inizia e finisce nell’arco di un ventennio, costellato di avvenimenti tragici e disavventure che si concludono miseramente con la sua morte sulla spiaggia di porto d’Ercole nei pressi di Roma.

L’attenzione degli ascoltatori è notevole, così sono incoraggiato a scendere, pur in modo sintetico, in profondità e spiegare la sua poetica, le sue scelte e le motivazioni che le hanno determinate; parlo del suo esordio a Milano, il suo apprendistato presso Simone da Petersano allievo di Tiziano e della sua fuga a Roma: coinvolto in una rissa aveva ammazzato un uomo!
Parlo del suo modo di intendere la religiosità che deriva dalla predicazione di Carlo Borromeo; una religiosità che spinge alla solidarietà verso il mondo degli umili, degli emarginati, dei più poveri.

Traccio le linee guida per la lettura delle sue opere che stavamo per vedere invitando tutti ad osservare i particolari dei segni e le logiche delle composizioni, la distribuzione delle masse e i colori, i loro significati simbolici e soprattutto i magistrali giochi delle luci, la loro diversità la loro funzione. Poi, dichiarandomi disponibile a rispondere ad eventuali domande, accompagno il gruppo all’interno degli spazi espositivi.

Gli ambienti sono dipinti di nero e l’atmosfera è opprimente. Non riesco a tenere nascosta la mia irritazione: le opere, esposte senza un criterio preciso impediscono di fare una spiegazione coerente e consequenziale e spiegare l’evoluzione dell’arte del Maestro. Pertanto ogni quadro viene letto in modo autonomo.

Ho ammirato l’attenzione degli amici presenti, il loro modo di osservare quelle meravigliose opere giovanili, dipinte con puntiglioso realismo, come pure i capolavori della maturità, con quegli straordinari giochi di luce che fa emergere dall’ombra gli uomini e le cose con tutto il loro bagaglio di particolari anatomici descritti nella loro bellezza o bruttezza con una tecnica magistrale, coinvolgente, a volte sconcertante.

Caravaggio è uno degli artisti più capaci nel caratterizzare le figure: sembra a volte di assistere alla scena come avviene in una rappresentazione teatrale, un teatro povero nell’impostazione scenica, ma fortemente caratterizzato nelle espressioni dei vari personaggi, esaltate dal gioco della luce.

Di fronte a quei capolavori in quell’ambiente scuro e reso ancora più opprimente dalla grande quantità di visitatori, penso con un certo rammarico alla diversa atmosfera che si vive all’interno del Louvre a Parigi, o anche agli Uffizi di Firenze,
alla professionalità esercitata nell’allestire gli spazi espositivi e anche alla quantità di visitatori ammessi all’interno dei musei.
Anche il modo di illuminare i quadri, con quei proiettori alogeni che procuravano molti riflessi sulle tele mi è sembrato abbastanza improvvisato e dilettantesco.
Mi dispiace che Caravaggio sia morto da quattrocento anni, se fosse stato vivo sono certo che avrebbe “infilzato” qualcuno.
Non vedo l’ora di uscire all’aria aperta, sperando che domani, ad Assisi, le cose vadano meglio.

31-5-10
D. Minonni

martedì 26 gennaio 2010



Jerry Schatzberg - Leaf Homonym, 1997


Presso il Museo Fratelli Alinari una mostra fotografica dal titolo:
QUELL’INSTABILE OGGETTO DEL DESIDERIO L’IMMAGINARIO DEL SENO FEMMINILE
NELLA FOTOGRAFIA D’AUTORE

Il mio primo incontro con la produzione dei Fratelli Alinari, storica agenzia per la diffusione della fotografia, fu circa cinquant’anni fa quando, frequentando il quinto ginnasio presso il collegio di frati minori a Manduria, ebbi in regalo un pacchetto di fotografie che riproducevano le sculture delle “Urne dei Forti” all’interno della chiesa di Santa Croce di Firenze. Sul retro di ognuna di queste piccole riproduzioni la scritta: riproduzione vietata-Fratelli Alinari. Oggi non c’è testo scolastico che non presenti immagini prodotte da questa agenzia che vanta più di 900.000 vintage print dell’800 e del 900 rendendola punto di riferimento a livello mondiale, sia per numero che per gli autori rappresentati.
Oggi nella nuova prestigiosa sede di fronte alla basilica di Santa Maria Novella, è possibile visitare il nuovo Museo dei Fratelli Alinari nel quale si esaltano i meriti di questa agenzia storica, unica in Italia per numero di elementi di rilevanza storica e scientifica, che ripercorre tutte le fasi dell’evoluzione della fotografia, dai primi Calotipi ai Dagherrotipi e alla fotografia stereoscopica ecc.
Sono state create e sviluppate sezioni innovative di storia della fotografia quali quelle degli album fotografici (il Museo ne custodisce oltre 6.000), delle cornici fotografiche e apparecchi fotografici, oltre 1.200, ed altro ancora.
Ma non basta,al l’interno del museo è prevista anche la visita per i “non vedenti” infatti, accanto ad alcune foto di interesse storico e scientifico si è provveduto a corredare le foto con didascalie redatte con il linguaggio Braille e di molte foto si è anche realizzato il plastico polimaterico in modo da ricavare un oggetto tattile, per far gustare attraverso la differenza dei rilievi e dei materiali usati le stesse sensazioni dei più fortunati vedenti.
Ma oggi la nuova sede offre molto di più, si è arricchita infatti di nuovi spazi destinati all’allestimento di mostre temporanee su tema. Quella che ho avuto l’opportunità di visitare esalta, attraverso un originale percorso iconografico, con immagini fotografiche dei più grandi maestri contemporanei, la bellezza del seno e del corpo femminile. Attraverso l’occhio e la sensibilità di questi artisti, emerge la poesia e l’incanto dell’universo femminile. Il seno è l’oggetto focalizzato sia che acerbo sia espressione di passaggio dalla fanciullezza alla femminilità, sia che riveli il suo fascino seduttivo, sia che esalti, attraverso l’allattamento il miracolo della procreazione.
Nella esposizione si possono apprezzare le diverse personalità dei fotografi: -Erwit e Cartier-Bresson, con la loro visione ironica e - Helmut Newton con la sua spregiuticatezza sono presenze storiche della fotografia. - Marcel Marien in La glose (1991/92) accosta l’immagine del seno femminile alla pagina biblica del Cantico dei Cantici, con composizioni di tipo surrealista. -Duane Michals, in The Most Beautiful Part of a Woman’s Body, (1986), correda le sue foto con bellessimi versi composti da lui stesso, -Bill Brandt, in Nude Study, (1954), cerca di evidenziare soprattutto il gioco plastico delle forme sino a raggiungere delle composizioni astratte, -Jerry Schatzberg, fotografo di moda e regista cinematografico, utilizza in Leaf Homonym, (1997),i giochi di luce e di ombra, alla ricerca di complicità inaspettate e profonde. Nella foto la luce scivolando sul corpo disegna forme sinuose ed eleganti che richiamano alla mente la forma di una foglia. Molte le foto che illustrano l’allattamento: a volte in composizioni studiate, più spesso in riprese istantanee che fermano l’attimo e descrivono atmosfere e situazioni in cui si evidenziano soprattutto i caratteri e le differenti situazioni sociali.
Interessanti le foto che ritraggono il seno nell’immaginario creativo e poetico degli artisti. Marcel Marius, in Colline inspirante,(1985), dimostra come il seno occupa un posto nei sogni della nostra vita, ma anche nei panorami fertili dell’immaginazione dove si trovano insieme spazi e luoghi che simulano le forme fisiche del corpo. -Jiri Skoch, con Landscape-Nude, (1983),Miroslaw Hak, Jerry Uelsmann, Arno Rafael Minkkinen,e tanti altri, attraverso sapienti accostamenti e con l’utilizzo di metafore e figure retoriche realizzano delle vere opere d’Arte, dando dignità ad una attività per lungo tempo considerata di secondo livello sotto il profilo artistico.
Poi c’è un’altro settore legato alla vita sociale, alla storia, alla storia dell’arte, al cinema, alla cartellonistica pubblicitaria e alla salute con alcune immagini che affrontano, se pur con gusto ed estro creativo, il tema ingrato e angosciante della mastectomia: non a caso la mostra, che affronta il tema dell’universo femminile in tutti i suoi aspetti, è stata inaugurata dal Prof. Umberto Veronesi in qualità di fondatore di EUROPA DONNA, che conclude il suo intervento con queste parole:

“Approfitto di queste immagini che testimoniano il pieno fulgore della vita e della pienezza, per invitare le donne alla consapevolezza che l’attenzione al proprio corpo e la prevenzione sono oggi la risposta concreta, efficace e sicura in direzione della salute e di un senso di responsabilità verso se stesse e la difesa di una vita di buona qualità, dove la malattia possa essere uno spettro lontano”.
Donato Minonni 26 1 2010