mercoledì 15 dicembre 2010

TARANTO: MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE - Prima tappa di una bella passeggiata

Approfittando del bel tempo gli amici del Circolo Tennis G.Verardi di Taurisano hanno voluto fare una passeggiata che prevedeva una sosta a Manduria per passare poi a Taranto, Metaponto e infine a Potenza. Manduria con le sue mura messapiche ci ha riportato alla mente i tempi omerici. Qui ai piedi delle mura numerose tombe hanno conservato per secoli dei tesori inestimabili che ora sono conservati in massima parte nel Museo Archeologico Nazionale di Taranto, uno dei maggiori d’Italia, meta obbligata sia per gli studiosi della Preistoria, sia per chi voglia approfondire la conoscenza della civiltà magno-greca, di cui Taranto fu per secoli il centro artistico e politico.

Intorno al 700 a C. alcuni coloni spartani occuparono i territori dove oggi sorge la città di Taranto, contribuendo al suo sviluppo e dando origine ad una civiltà della quale il Museo Archeologico Nazionale conserva testimonianze varie ed accattivanti, provenienti dalle numerose tombe a fossa, a semicamera ed a camera, schiacciate oggi da migliaia di tonnellate di cemento, che formano il tessuto urbano della città di oggi,condito dai veleni provenienti dall’Ilva.

Da queste sepolture provengono i numerosissimi reperti di straordinaria bellezza,che testimoniano l’antica grandezza della città: statue, ceramiche, mosaici, gioielli in oro e suppellettili varie che lasciano col fiato sospeso e riportano alla mente l’antica gloria di questa popolazione.

Le tombe a camera non commemoravano l’esistenza, ma riproducevano, alla maniera delle coeve costruzioni etrusche, l’esistente, la vita e le abitudini del defunto con la chiara intenzione di esorcizzare la morte, consentendo al defunto di ritrovarsi in uno spazio uguale a quello che aveva avuto in vita e seppellendo insieme a lui gli oggetti che avevano accompagnato la sua esistenza. Questa maniera “etrusca” di affrontare il tema della sepoltura è particolarmente interessante anche in considerazione del fatto alcuni elementi dell’arte plastica tarantina (vedi la statua del Poseidone) e alcuni particolari della decorazione ceramica del V° sec. presentano gli stessi elementi della produzione artistica del popolo etrusco: su un cratere è rappresentata, infatti, una chimera straordinariamente somigliante alla bronzea chimera di Arezzo.

Il nuovo allestimento del museo, non ancora terminato – e quando lo sarà? -presenta bellissimi esempi di vetro soffiato, gioielli e oggetti d’arredo e, anche se mancano all’esposizione opere fondamentali come molti mosaici, la statua del Poseidone e il sarcofago dell’Atleta, è possibile ammirare una bella collezione di vasi in ceramica che presentano nella preziosità nella forma e nella decorazione delle figure una qualità riscontrabile solamente ad Atene. Vasi destinati a contenere balsami ed unguenti, contenitori di profumi ed incensi che insieme ai disegni degli abiti eleganti delle figure e ai loro gioielli e alle scene di vita festosa ci parlano di un popolo evoluto e raffinato che sapeva scegliere il meglio della produzione artistica ed artigianale.

Da Corinto, dove venivano fabbricati, venivano trasportati sino alle più remote isole greche e nelle colonie della Magna Grecia.

Taranto nel V° e nel IV° secolo assume nel settore artistico il ruolo di guida. Nelle testimonianze portate alla luce si vede come convivano l’architettura, la scultura e la pittura. In queste sono impressi i caratteri dell’Arte greca in tutta la sua evoluzione. Opere piene di pathos accanto alle quali una ricca produzione di arte popolare, realizzata con semplicità emulando gli schemi e i caratteri dell’Arte aulica. Opere che evidenziano l’insegnamento dei maggiori scultori greci(Fidia, Lisippo, Prassitele, Skopas) accanto ad opere il cui carattere popolare presenta elementi aneddotici e fantastici, tradendo in questo la conoscenza della produzione etrusca evidente anche nelle numerose antefisse a forma di maschere spesso grottesche.

Prassitele e Skopas sono presenti in piccole realizzazioni in cui il candore del marmo traslucido (taxus) accentua la grazia e la femminilità che non è mai volgare e gli atteggiamenti ripresi anche in momenti di intimità sono sempre misurati e casti, più vicini alla cultura greca che alle coeve rappresentazioni realizzate a Pompei.


Taranto – Museo Archeologico Nazionale
Testa di Afrodite di scuola prassitelica (IV sec.a.C.)


Afrodite ed Heros insieme a figure danzanti rese con straordinaria eleganza insieme a figure grottesche, figure emblematiche come l’Ermafrodito (Bernini e Canova molti secoli dopo ne hanno ripreso il tema e la postura) coesistono all’interno delle tombe. La fantasia inventiva a volte stravagante si associa alla ricerca stilistica di opere raffinate come la bellissima Afrodite che sembra l’espressione stessa della bellezza. Qui la grazia, l’eleganza dei tratti, l’espressione pacata e composta rende divino l’umano.

Gli ori, le fibule, i pendenti, le collane come i braccialetti e i diademi sono di una qualità insuperata e sono realizzate con tecniche come la filigrana, lo sbalzo, il granulato, l’incastonatura, il cesello e l’agemina. Oggetti che oggi darebbero, nonostante i progressi della tecnologia parecchio filo da torcere ai moderni artigiani orafi.

E tuttavia sembra impossibile credere che tanta ricchezza e perfezione fosse destinata alla sepoltura. Evidentemente, come d’altronde risulta dalla decorazione ceramica, le belle signore di Taranto e Canosa, di Manduria e di Ruvo che avevano passeggiato per la città sfoggiando i loro monili una volta arrivato il momento del trapasso portavano con se il corredo nell’aldilà.

VITO RUSSO



L’Associazione Culturale “Pietre vive” di Taurisano ha ospitato, da domenica 5 dicembre a domenica 12, una bella mostra di scultura di Vito Russo, un compagno di scuola ed un amico d’infanzia col quale ho condiviso le prime esperienze nel campo artistico, un’amicizia che dura ormai da quasi cinquant’anni.



Le modeste condizioni di vita della sua famiglia contadina, nonché la vicinanza ad un mondo fatto di cose semplici ed essenziali lo portarono da subito ad affrontare temi legati alla millenaria lotta dell’uomo per la sopravvivenza, cercando nelle forme della natura l’essenza della vita nascosta dell’uomo; vita e vitalità che egli esprime in forme essenziali, a volte primordiali al punto da riportare alla mente le prime manifestazioni dell’Arte preistorica, intervenendo appena sia sui tronchi di olivastro, abbondanti nella nostra terra, che sulle pietre raccolte durante le nostre frequenti passeggiate lungo la campagna e la costa salentina.



In questa terra spesso arida, pietrosa che il lavoro millenario dell’uomo ha reso meno avara crescono i nostri ulivi, ma il loro crescere è tormentato quanto l’esistenza dell’uomo. Uomo e natura accomunati dall’immane lotta per la sopravvivenza. Gli ulivi secolari con i loro tronchi nodosi e il loro andamento a spirale ( sempre in senso orario) tradiscono lo loro affannosa ricerca della luce del sole, quello stesso sole che disidrata e rinsecchisce la pelle dei nostri contadini: vento, salsedine e sole hanno plasmato i loro volti e temprato il loro carattere e la loro anima. Questo è il tema dominante della sua opera che si realizza con le tecniche più varie: legno, terra cotta policroma, pietra.



Ancora giovanissimo viene chiamato dal direttore dell’Istituto Statale d’Arte di Lecce Beniamino Barletti ad insegnare discipline plastiche nello stesso Istituto in cui si era appena diplomato; vi rimane per quarant’anni, esponendo nel contempo le sue opere in molte città europee e spingendosi anche in Giappone ottenendo numerosi riconoscimenti.



La sua ricerca formale si fa più sensibile e più attenta verso aspetti più generali della personalità umana, una specie di sguardo oltre il Salento.



La caratterizzazione evidenzia a volte gli aspetti più vari della vita contadina, esaltando la particolare struttura anatomica dei volti e dei corpi che sembrano sottoposti alle stesse forse della natura che hanno creato la forme dei tronchi degli ulivi secolari, a volte invece il candore, la grazia, l’eleganza o la civetteria delle ragazze salentine. Altre volte la corposità matriarcale delle loro mamme.



Col passare del tempo i connotati realistici cedono il posto ad una ricerca formale più sintetica, essenziale, mirata sempre a potenziare l’espressione e i caratteri universali del tema.

Corpi a volte più realistici, a volte filiformi e a volte più opulenti, ricavati nel legno, nella pietra o nel marmo sulla cui superficie la luce trascolora in delicatissimi passaggi mettendo a nudo la preziosità della materia che, come ha fatto giustamente osservare qualcuno, invita alla carezza.

E di carezze bisogna darne proprio tante per rendere lucidissima e traslucida la superficie del marmo.

Questo è infatti uno dei meriti di Vito Russo: aver esaltato la bellezza nascosta dei materiali.

Le forme delle sue sculture, siano esse di grandi che di piccole dimensioni inseguono sempre una bellezza intima che si esprime non solo attraverso il carattere dei materiali ma anche attraverso la sintesi delle forme: composizioni plastiche realizzate con il minimo dei segni e dei volumi e con il massimo dell’espressione.

Un modo di operare che accosta la sua produzione alla scultura cicladica e alla variegata grammatica della scultura europea del ‘900 con echi di Brancusi, F.Harp, E.Moore, Manzù ecc.



Un capitolo a parte à costituito dalla sua produzione di Arte sacra in cui le immagini ora descrivono in modo intensamente realistico, ora evocano con forme più evanescenti e sfumate, personaggi e fatti evangelici, resi sempre con grande maestria e capaci di coinvolgere lo spettatore in un’atmosfera di mistica partecipazione.



Questo eterno ragazzo rimasto semplice e modesto ha inseguito sempre il suo sogno: farsi testimone dei caratteri, delle ansie millenarie dell’uomo, dei suoi aneliti, delle sue aspirazioni e anche, purtroppo, delle sue frustazioni.

Auguriamo a questo Artista di rara sensibilità di continuare a produrre ancora per molti anni nella quiete della sua campagna e in compagnia della sua bella famiglia.



Donato Minonni 7 dicembre 2010