martedì 26 gennaio 2010



Jerry Schatzberg - Leaf Homonym, 1997


Presso il Museo Fratelli Alinari una mostra fotografica dal titolo:
QUELL’INSTABILE OGGETTO DEL DESIDERIO L’IMMAGINARIO DEL SENO FEMMINILE
NELLA FOTOGRAFIA D’AUTORE

Il mio primo incontro con la produzione dei Fratelli Alinari, storica agenzia per la diffusione della fotografia, fu circa cinquant’anni fa quando, frequentando il quinto ginnasio presso il collegio di frati minori a Manduria, ebbi in regalo un pacchetto di fotografie che riproducevano le sculture delle “Urne dei Forti” all’interno della chiesa di Santa Croce di Firenze. Sul retro di ognuna di queste piccole riproduzioni la scritta: riproduzione vietata-Fratelli Alinari. Oggi non c’è testo scolastico che non presenti immagini prodotte da questa agenzia che vanta più di 900.000 vintage print dell’800 e del 900 rendendola punto di riferimento a livello mondiale, sia per numero che per gli autori rappresentati.
Oggi nella nuova prestigiosa sede di fronte alla basilica di Santa Maria Novella, è possibile visitare il nuovo Museo dei Fratelli Alinari nel quale si esaltano i meriti di questa agenzia storica, unica in Italia per numero di elementi di rilevanza storica e scientifica, che ripercorre tutte le fasi dell’evoluzione della fotografia, dai primi Calotipi ai Dagherrotipi e alla fotografia stereoscopica ecc.
Sono state create e sviluppate sezioni innovative di storia della fotografia quali quelle degli album fotografici (il Museo ne custodisce oltre 6.000), delle cornici fotografiche e apparecchi fotografici, oltre 1.200, ed altro ancora.
Ma non basta,al l’interno del museo è prevista anche la visita per i “non vedenti” infatti, accanto ad alcune foto di interesse storico e scientifico si è provveduto a corredare le foto con didascalie redatte con il linguaggio Braille e di molte foto si è anche realizzato il plastico polimaterico in modo da ricavare un oggetto tattile, per far gustare attraverso la differenza dei rilievi e dei materiali usati le stesse sensazioni dei più fortunati vedenti.
Ma oggi la nuova sede offre molto di più, si è arricchita infatti di nuovi spazi destinati all’allestimento di mostre temporanee su tema. Quella che ho avuto l’opportunità di visitare esalta, attraverso un originale percorso iconografico, con immagini fotografiche dei più grandi maestri contemporanei, la bellezza del seno e del corpo femminile. Attraverso l’occhio e la sensibilità di questi artisti, emerge la poesia e l’incanto dell’universo femminile. Il seno è l’oggetto focalizzato sia che acerbo sia espressione di passaggio dalla fanciullezza alla femminilità, sia che riveli il suo fascino seduttivo, sia che esalti, attraverso l’allattamento il miracolo della procreazione.
Nella esposizione si possono apprezzare le diverse personalità dei fotografi: -Erwit e Cartier-Bresson, con la loro visione ironica e - Helmut Newton con la sua spregiuticatezza sono presenze storiche della fotografia. - Marcel Marien in La glose (1991/92) accosta l’immagine del seno femminile alla pagina biblica del Cantico dei Cantici, con composizioni di tipo surrealista. -Duane Michals, in The Most Beautiful Part of a Woman’s Body, (1986), correda le sue foto con bellessimi versi composti da lui stesso, -Bill Brandt, in Nude Study, (1954), cerca di evidenziare soprattutto il gioco plastico delle forme sino a raggiungere delle composizioni astratte, -Jerry Schatzberg, fotografo di moda e regista cinematografico, utilizza in Leaf Homonym, (1997),i giochi di luce e di ombra, alla ricerca di complicità inaspettate e profonde. Nella foto la luce scivolando sul corpo disegna forme sinuose ed eleganti che richiamano alla mente la forma di una foglia. Molte le foto che illustrano l’allattamento: a volte in composizioni studiate, più spesso in riprese istantanee che fermano l’attimo e descrivono atmosfere e situazioni in cui si evidenziano soprattutto i caratteri e le differenti situazioni sociali.
Interessanti le foto che ritraggono il seno nell’immaginario creativo e poetico degli artisti. Marcel Marius, in Colline inspirante,(1985), dimostra come il seno occupa un posto nei sogni della nostra vita, ma anche nei panorami fertili dell’immaginazione dove si trovano insieme spazi e luoghi che simulano le forme fisiche del corpo. -Jiri Skoch, con Landscape-Nude, (1983),Miroslaw Hak, Jerry Uelsmann, Arno Rafael Minkkinen,e tanti altri, attraverso sapienti accostamenti e con l’utilizzo di metafore e figure retoriche realizzano delle vere opere d’Arte, dando dignità ad una attività per lungo tempo considerata di secondo livello sotto il profilo artistico.
Poi c’è un’altro settore legato alla vita sociale, alla storia, alla storia dell’arte, al cinema, alla cartellonistica pubblicitaria e alla salute con alcune immagini che affrontano, se pur con gusto ed estro creativo, il tema ingrato e angosciante della mastectomia: non a caso la mostra, che affronta il tema dell’universo femminile in tutti i suoi aspetti, è stata inaugurata dal Prof. Umberto Veronesi in qualità di fondatore di EUROPA DONNA, che conclude il suo intervento con queste parole:

“Approfitto di queste immagini che testimoniano il pieno fulgore della vita e della pienezza, per invitare le donne alla consapevolezza che l’attenzione al proprio corpo e la prevenzione sono oggi la risposta concreta, efficace e sicura in direzione della salute e di un senso di responsabilità verso se stesse e la difesa di una vita di buona qualità, dove la malattia possa essere uno spettro lontano”.
Donato Minonni 26 1 2010

domenica 24 gennaio 2010



UN ACCOSTAMENTO IRRIVERENTE:
MICHELANGELO BUONARROTI E ROBERT MAPPLETHORPE


Presso la Galleria dell’Accademia di Firenze si è svolta, dal 24 aprile 2009 al 10 gennaio 2010 una mostra dal titolo “La perfezione della forma”, con l’esposizione di 93 fotografie di uno dei più leggendari e apprezzati fotografi americani, Robert Mapplethorpe, scomparso circa 20 anni fa.

La maggior parte delle sue opere ritrae, con una tecnica ineccepibile in bianco e nero, il corpo umano sia maschile che femminile in cui si evidenzia soprattutto la perfezione anatomica, in pose direi abbastanza accademiche, come spesso si vede in tanti libri di anatomia per artisti. Insieme a queste alcune “Nature morte”in cui prevale lo studio delle luci e delle ombre ed il rapporto tra gli oggetti e lo spazio.

La mostra è stata preceduta da un “reading” della rokstar statuitense Patti Smith nella tribuna del David sotto la gigantesca statua dove ha letto alcune poesie di Michelangelo ispirate al “peccato e al “desiderio”.

Il sodalizio tra Patti Smith e Mapplethorpe risale agli anni sessanta ed è continuato sino al 1989 anno in cui, il celebre fotografo, amico di Andy Warhol, è morto di Aids.

I curatori della mostra, Franca Falletti e Jonathan Nelson hanno voluto mettere in risalto l’analogia che secondo loro unisce il fotografo americano a Michelangelo, “la perfezione della forma”. C’è da chiedersi se l’opera michelangiolesca è solo forma, ostentazione di armonia compositiva e celebrazione della bellezza anatomica o se piuttosto la forma esteriore è solo uno strumento formidabile di rappresentazione di tutti gli aspetti dell’animo umano, tensione domata, (David), dolore sommesso( Pietà di San Piertro), tormento interiore e passione (Prigioni),ecc.

Solo chi guarda con gli occhi e non con la mente potrebbe pensare una cosa simile: Michelangelo, infatti, cresciuto nei giardini di Lorenzo il Magnifico, nell’ambiente Neoplatonico, apprezza la bellezza “greca”, ma proprio come i grandi maestri greci si serve del corpo per esprimere delle idee che hanno sempre a che fare con la sfera spirituale dell‘uomo. Per i greci la perfezione anatomica e l’equilibrio del corpo esprimono la tendenza dell’uomo a raggiungere l’equilibrio della mente. Nell’artista fiorentino la forma fisica è solo uno strumento per esaltare le tensioni dell’anima e descrivere tutti gli aspetti dell’animo umano, in questo sentendo la lezione donatelliana, che superando l’idea della scultura come rappresentazione del mondo visibile arriva a rappresentare il mondo invisibile e nascosto delle idee e dei sentimenti.

Un giorno lo stesso fotografo, affascinato dall’arte di Michelangelo confessò: “se fossi nato cento o duecento anni fa, avrei potuto fare lo scultore, ma la fotografia è un modo più veloce per vedere le cose, per fare scultura”.

Un accostamento dunque azzardato e, diciamolo pure, irriverente, che si ferma all’apparenza e non va oltre; che non tiene conto del fatto che proprio Michelangelo fu tormentato sino alla fine dei suoi giorni dal problema della”forma”, nella ricerca affannosa e drammatica di un suo possibile superamento; nel tentativo di far parlare la pietra attraverso il gioco della luce e dei volumi, con i quali rappresentare la tensione spirituale dell’umanità intera che lotta per la redenzione, tensione immane verso la “Liberazione dalla materia”come accade più volte nei “Prigioni”, detti ”Non finiti” e nella “Pietà Rondanini” . Qui il tormento e il dolore struggente si accompagnano alla consumazione fisica dei corpi che, perduti i connotati individuali, diventano espressione universale dei destini dell’umanità intera.

* * *

Se gli organizzatori della mostra volevano pubblicizzare la Fondazione Mapplethorpe, fondata dallo stesso fotografo e assai attiva a New Jork, che si propone come obiettivi principali il riconoscimento della Fotografia come nuova forma d’Arte a tutti gli effetti e sostenere la ricerca per la lotta contro l’AIDS e l’HIV, allora va bene, tutto diventa comprensibile, tanto più che la fondazione non ha scopi di lucro. Se invece si è pensato di animare di più l’ambiente dei musei avvicinando di più altre fette di pubblico, allora sarebbe stato meglio lasciar perdere,

in quanto la Galleria dell’Accademia è uno dei musei più visitati e il gigantesco David non aveva proprio bisogno della compagnia, ai suoi piedi, di due poster rappresentanti due giovani culturisti di colore che, anche se belli, (de gustibus…) rimangono belli e basta.

Taurisano 13 - 1 - 2010 Donato MINONNI
BASILICA SANTUARIO SANTA MARIA DE FINIBUS TERRAE

Adiacente al Santuario della Madonna di Leuca è sorto un nuovo gioiello che aspetta di essere visitato e ammirato; è costituito dalla collezione di sculture che Vito Mele, scultore originario di Presicce e residente a Milano, ha voluto donare al Santuario con un gesto generosissimo e lungimirante, e che il parroco e rettore del Santuario Mons. Giuseppe Stendardo ha fatto allestire restaurando in modo egregio alcuni locali adiacenti al Santuario, realizzando così un suo vecchio sogno. L’inaugurazione è avvenuta il 31 luglio del 2004 per opera del vescovo Vito De Grisantis.

Quando la mattina del dodici di novembre arrivo nella piazza del Santuario sono pervaso dal senso dell’infinito: un cielo tersissimo fa sembrare ancora più vasto l’orizzonte mentre in basso Leuca immersa nel verde con le sue case e le sue ville sembra vibrare di freschezza e godere del silenzio dell’infinito.

Sono venuto per rivedere le opere ammirate insieme all’amico Gigi Montonato qualche giorno prima. Il museo è chiuso, ma la gentilezza e la disponibilità del suo fondatore mi risolve il problema. Mi vengono aperte le porte, accese le luci e cosi posso tranquillamente guardare le opere esposte, studiare i temi e le tecniche adottate e risalire magari alle radici stilistiche e culturali che le caratterizza.

“La bellezza è sempre apparizione e quindi struggimento, è desiderio di fermare il tempo per sostare guardando qualcosa di grandioso che ci sfugge”dice nel suo discorso di inaugurazione il promotore dell’iniziativa. Ecco appunto, sostare e guardare senza fretta, liberi da preconcetti e solo se disposti a “sentire” possiamo avvicinarci all’opera d’arte e sperare di comprendere il mondo interiore dell’artista che l’ha prodotta.

Il colore caldo del tufo con cui sono realizzati i locali coronati da belle volte a botte esaltano le forme delle sculture, alcune delle quali sono sistemate entro nicchie lungo i muri perimetrali, mentre altre sono state opportunamente sistemate su piedistalli per offrire una visione a tutto tondo. Le osservo senza fretta, gustando il gioco delle forme e dei volumi cosi vario e accattivante, la diversità delle scelte stilistiche da cui scaturisce la sensibilità poetica degli autori, il loro impegno umano il loro modo di essere testimoni del loro tempo.

Ci sono opere pregevolissime, alcune in grandezza finita, altre allo stato di bozzetto, appartenenti a Leonardo Bistolfi, (1859-1933), Medardo Rosso, (1858-1928), Vincenzo Gemito, (1852-1929), Vincenzo Vela (1820-1891), tutti nomi ormai consacrati alla storia e operanti tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Queste opere sono accomunate dal linguaggio figurativo che si arricchisce, quasi sempre di un modellato scabro che accentua le vibrazioni chiaroscurali, le quali si spiegano con le coeve esperienze, soprattutto parigine, della pittura impressionista e mirano per questo non solo alla descrizione dell’oggetto ma anche a suggerire l’atmosfera e lo spazio circostante la forma che si anima sotto la luce esaltando gli aspetti emozionali e poetici del tema. In queste opere non è difficile riconoscere la matrice michelangiolesca del ”Non finito ripresa, in epoca più moderna e parallelamente all’esperienza impressionista, da A. Rodin (1840-1917) e Cammille Claudel ( 1864-1943).

Altre volte il linguaggio scelto è più palesemente espressionistico, anzi direi quasi esasperatamente espressionistico, come si avverte nell’opera di Fernando Gigante “Crocefisso” del 1994, che esaspera gli effetti drammatici del tema rievocando alcuni aspetti dell’arte popolare barocca spagnola e napoletana.

Sono presenti, all’interno della mostra, non poche opere realizzate da artisti affermati e ormai consegnati alla storia che invece prediligono il linguaggio informale. Anche in questo caso i rimandi sono facilmente individuabili: mi riferisco ad esempio all’opera di Giò Pomodoro(1930-2002) “Bozzetto per medaglia”, bronzo,che reinterpretando lo schema vitruviano delle divine proporzioni sviluppa una specie di paradosso in cui l’espressione dell’equilibrio viene interrotta e deformata per suggerendo una proiezione nello spazio.

Interessanti le proposte di Franco Carloni (1940) con “Sentimento nello spazio 2000” e Angelo Grilli (1932) con l’opera “Francesco”. Il primo ricorda con la sua plastica fluida in cui sembrano animarsi dei corpi le soluzioni plastiche di Camille Claudel e del suo maestro e amante Rodin; il secondo propone una interessante composizione realizzata in gres invetriato in cui sono rievocati, in un sapiente gioco di volumi, elementi della cultura egizia.

Bellissime per ricerca stilistica e soluzioni tecniche le opere di due colleghi entrambi docenti di scultura presso l’Istituto d’Arte “G.Pellegrino” di Lecce.

Una figura femminile fortemente stilizzata, realizzata in terracotta policroma quella di Vito Russo ( 1948), che ricorda nella sua essenzialità ed eleganza la scultura arcaica delle Cicladi; mentre Marcello Gennari (1933) suo maestro e poi collega d’insegnamento, ci offre l’opera “Il canto” realizzata in pietra leccese dura, che rappresenta una figura femminile dalle forme morbide e fluenti nella quale il giuoco dei volumi e gli effetti pittorici che ne derivano esaltati anche da alcuni segni incisi, mi fanno ricordare la plastica di Giovanni Pisano.

Artisti altamente qualificati le cui opere sono sparse per le città e i musei di tutto il mondo e che meritano tutta la nostra attenzione.

Trovo interessante l’opera di Giovanni Tavani (1934) ”Madre con bambino”: nelle sue forme riecheggia, rivisitata, l’arte arcaica etrusca della zona di Capua (Mater matuta) e la ieraticità tipica dell’arte egizia.

Incontro poi l’opera di Giovanni Scupola (1953) che presenta “Frenesia”,una piccola figura femminile il cui incedere mi richiama alla mente la scultura di Boccioni “Forme uniche di continuità nello spazio “.

Osservo l’opera di Giancarlo Sangregorio(1925) “Impronta”- realizzata in cellulosa di lino e cotone: qui la materia conserva tutto il suo fascino naturale e amplia le possibilità espressive della forma suggerendone attraverso la tecnica del frottage, anche le radici.

Bella la composizione di Yoshin Suijin Ogata (1948): qui attraverso una sapiente scelta del materiale, legno trasformato in bronzo patinato, riesce a suggerire lo spirare del vento e il fluire dell’onda.

Ammiro anche l’opera di un altro giapponese: Kyoji Nagatani, “Mutamento 2000” una piccola composizione in bronzo che suggerisce il mutamento della materia e dello stato dell’essere grazie all’opera dell’uomo.

Riconosco in “Minerva” la scultura di Norman Mommens” (Aversa1922-Spigolizzi, masseria in agro di Salve 2000). Qui il particolare sintetismo della forma rivela la vicinanza all’opera del suo conterraneo Henrj Moore.

Sono molte le presenze accattivanti e parlare di tutte sarebbe impresa ardua, ma la visita è stata interessante e cosi vado a complimentarmi con Mons. Giuseppe che ha fortemente voluto realizzare questa raccolta. Si dimostra piuttosto rammaricato della poca affluenza dei visitatori e mi confessa anche la scarsa attenzione dei salentini per la raccolta.

E’ certo che l’uomo non vive di solo pane, ma è anche vero che la cultura non si acquista al mercato! Quante volte abbiamo dovuto constatare che, soprattutto nella stagione estiva, la pubblicità riservata alle sagre è di gran lunga superiore a quella riservata alle iniziative culturali. Penso che la scuola dovrebbe svolgere con maggiore responsabilità il suo compito, perché ad essa è affidata la formazione dei giovani, la futura classe dirigente, a cui sarà affidata la custodia e la valorizzazione del nostro patrimonio artistico.

A questo punto vorrei fare una riflessione: durante i miei frequenti soggiorni a Firenze ho notato come alcuni musei come gli Uffizi, Pitti ecc. sono presi tutti i giorni d’assalto, altri invece, pur contenendo opere pregevolissime, sono frequentati solo da piccoli gruppi, magari stranieri. giapponesi e tedeschi soprattutto, come mai? La stessa cosa mi è capitata tutte le volte che ho accompagnato i miei alunni al Louvre. Li davanti al quadro della Gioconda di Leonardo c’è sempre una piccola folla che si accalca come se dovesse parlare da un momento all‘altro, mentre due altri quadri dello stesso Leonardo, la “Vergine delle Rocce” e “La Vergine Sant’Anna e Gesù Bambino“, di gran lunga più belli e interessanti sotto ogni profilo, esposti nella stessa stanza e sul medesimo muro passano quasi inosservati. Da cosa dipende? Secondo me dal buon senso: la gente è incuriosita dai mas-media che non fanno che parlare dei soliti artisti, presentandoli magari come strani esseri che hanno avuto una vita costellata di avventure particolari, di questi si propongono aspetti che con la loro arte non hanno nulla a che fare; ma ciò produce audiens e questo conta! Ma l’Arte in qualsivoglia forma si esprima è roba per gente colta e raffinata, gente che è stata educata sui libri e che è attirata dalla necessità di sentire emozioni, di scoprire il fascino segreto dell’attività creativa e scoprire la grandezza di Dio che si rivela attraverso l’opera creatrice dell’uomo.

Donato Minonni li 15- 11 - 09

lunedì 4 gennaio 2010


L'opera nella quale sono attualmente impegnato è un sarcofago in marmo di Carrara. L'opera finita avrà l'aspetto del bozzetto in gesso visibile nell'immagine qui in alto. Nelle foto del post precedente si vedono chiaramente, ai lati, le sagome degli angeli ad alto rilievo che orneranno la scultura.
Il bozzetto è realizzato in piccole dimensioni, ed è un passaggio fondamentale nella realizzazione di una scultura, poiché consente di stabilire in anticipo la posizione delle figure all'interno di quello che sarà il blocco di marmo. Come è noto, per realizzare una scultura occorre saper "visualizzare" la figura all'interno di un volume pieno. La scultura non consente alcun ripensamento.

Il blocco di marmo misura metri 2.60 x 1.30 x 1.00. Il marmo bianco di Carrara è un materiale compatto è piuttosto duro, ma proprio per la sua densità e la quasi totale assenza di venature grigie, è particolarmente adatto ad opere di questo tipo.
Per raggiungere il grado di sgrossatura visibile nelle foto del precedente post sono stati necessari circa 3 mesi di lavoro, compresi alcuni dettagli non visibili nelle immagini.

domenica 3 gennaio 2010



Attualmente in fase di esecuzione. Ma ancora...