domenica 24 gennaio 2010

BASILICA SANTUARIO SANTA MARIA DE FINIBUS TERRAE

Adiacente al Santuario della Madonna di Leuca è sorto un nuovo gioiello che aspetta di essere visitato e ammirato; è costituito dalla collezione di sculture che Vito Mele, scultore originario di Presicce e residente a Milano, ha voluto donare al Santuario con un gesto generosissimo e lungimirante, e che il parroco e rettore del Santuario Mons. Giuseppe Stendardo ha fatto allestire restaurando in modo egregio alcuni locali adiacenti al Santuario, realizzando così un suo vecchio sogno. L’inaugurazione è avvenuta il 31 luglio del 2004 per opera del vescovo Vito De Grisantis.

Quando la mattina del dodici di novembre arrivo nella piazza del Santuario sono pervaso dal senso dell’infinito: un cielo tersissimo fa sembrare ancora più vasto l’orizzonte mentre in basso Leuca immersa nel verde con le sue case e le sue ville sembra vibrare di freschezza e godere del silenzio dell’infinito.

Sono venuto per rivedere le opere ammirate insieme all’amico Gigi Montonato qualche giorno prima. Il museo è chiuso, ma la gentilezza e la disponibilità del suo fondatore mi risolve il problema. Mi vengono aperte le porte, accese le luci e cosi posso tranquillamente guardare le opere esposte, studiare i temi e le tecniche adottate e risalire magari alle radici stilistiche e culturali che le caratterizza.

“La bellezza è sempre apparizione e quindi struggimento, è desiderio di fermare il tempo per sostare guardando qualcosa di grandioso che ci sfugge”dice nel suo discorso di inaugurazione il promotore dell’iniziativa. Ecco appunto, sostare e guardare senza fretta, liberi da preconcetti e solo se disposti a “sentire” possiamo avvicinarci all’opera d’arte e sperare di comprendere il mondo interiore dell’artista che l’ha prodotta.

Il colore caldo del tufo con cui sono realizzati i locali coronati da belle volte a botte esaltano le forme delle sculture, alcune delle quali sono sistemate entro nicchie lungo i muri perimetrali, mentre altre sono state opportunamente sistemate su piedistalli per offrire una visione a tutto tondo. Le osservo senza fretta, gustando il gioco delle forme e dei volumi cosi vario e accattivante, la diversità delle scelte stilistiche da cui scaturisce la sensibilità poetica degli autori, il loro impegno umano il loro modo di essere testimoni del loro tempo.

Ci sono opere pregevolissime, alcune in grandezza finita, altre allo stato di bozzetto, appartenenti a Leonardo Bistolfi, (1859-1933), Medardo Rosso, (1858-1928), Vincenzo Gemito, (1852-1929), Vincenzo Vela (1820-1891), tutti nomi ormai consacrati alla storia e operanti tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Queste opere sono accomunate dal linguaggio figurativo che si arricchisce, quasi sempre di un modellato scabro che accentua le vibrazioni chiaroscurali, le quali si spiegano con le coeve esperienze, soprattutto parigine, della pittura impressionista e mirano per questo non solo alla descrizione dell’oggetto ma anche a suggerire l’atmosfera e lo spazio circostante la forma che si anima sotto la luce esaltando gli aspetti emozionali e poetici del tema. In queste opere non è difficile riconoscere la matrice michelangiolesca del ”Non finito ripresa, in epoca più moderna e parallelamente all’esperienza impressionista, da A. Rodin (1840-1917) e Cammille Claudel ( 1864-1943).

Altre volte il linguaggio scelto è più palesemente espressionistico, anzi direi quasi esasperatamente espressionistico, come si avverte nell’opera di Fernando Gigante “Crocefisso” del 1994, che esaspera gli effetti drammatici del tema rievocando alcuni aspetti dell’arte popolare barocca spagnola e napoletana.

Sono presenti, all’interno della mostra, non poche opere realizzate da artisti affermati e ormai consegnati alla storia che invece prediligono il linguaggio informale. Anche in questo caso i rimandi sono facilmente individuabili: mi riferisco ad esempio all’opera di Giò Pomodoro(1930-2002) “Bozzetto per medaglia”, bronzo,che reinterpretando lo schema vitruviano delle divine proporzioni sviluppa una specie di paradosso in cui l’espressione dell’equilibrio viene interrotta e deformata per suggerendo una proiezione nello spazio.

Interessanti le proposte di Franco Carloni (1940) con “Sentimento nello spazio 2000” e Angelo Grilli (1932) con l’opera “Francesco”. Il primo ricorda con la sua plastica fluida in cui sembrano animarsi dei corpi le soluzioni plastiche di Camille Claudel e del suo maestro e amante Rodin; il secondo propone una interessante composizione realizzata in gres invetriato in cui sono rievocati, in un sapiente gioco di volumi, elementi della cultura egizia.

Bellissime per ricerca stilistica e soluzioni tecniche le opere di due colleghi entrambi docenti di scultura presso l’Istituto d’Arte “G.Pellegrino” di Lecce.

Una figura femminile fortemente stilizzata, realizzata in terracotta policroma quella di Vito Russo ( 1948), che ricorda nella sua essenzialità ed eleganza la scultura arcaica delle Cicladi; mentre Marcello Gennari (1933) suo maestro e poi collega d’insegnamento, ci offre l’opera “Il canto” realizzata in pietra leccese dura, che rappresenta una figura femminile dalle forme morbide e fluenti nella quale il giuoco dei volumi e gli effetti pittorici che ne derivano esaltati anche da alcuni segni incisi, mi fanno ricordare la plastica di Giovanni Pisano.

Artisti altamente qualificati le cui opere sono sparse per le città e i musei di tutto il mondo e che meritano tutta la nostra attenzione.

Trovo interessante l’opera di Giovanni Tavani (1934) ”Madre con bambino”: nelle sue forme riecheggia, rivisitata, l’arte arcaica etrusca della zona di Capua (Mater matuta) e la ieraticità tipica dell’arte egizia.

Incontro poi l’opera di Giovanni Scupola (1953) che presenta “Frenesia”,una piccola figura femminile il cui incedere mi richiama alla mente la scultura di Boccioni “Forme uniche di continuità nello spazio “.

Osservo l’opera di Giancarlo Sangregorio(1925) “Impronta”- realizzata in cellulosa di lino e cotone: qui la materia conserva tutto il suo fascino naturale e amplia le possibilità espressive della forma suggerendone attraverso la tecnica del frottage, anche le radici.

Bella la composizione di Yoshin Suijin Ogata (1948): qui attraverso una sapiente scelta del materiale, legno trasformato in bronzo patinato, riesce a suggerire lo spirare del vento e il fluire dell’onda.

Ammiro anche l’opera di un altro giapponese: Kyoji Nagatani, “Mutamento 2000” una piccola composizione in bronzo che suggerisce il mutamento della materia e dello stato dell’essere grazie all’opera dell’uomo.

Riconosco in “Minerva” la scultura di Norman Mommens” (Aversa1922-Spigolizzi, masseria in agro di Salve 2000). Qui il particolare sintetismo della forma rivela la vicinanza all’opera del suo conterraneo Henrj Moore.

Sono molte le presenze accattivanti e parlare di tutte sarebbe impresa ardua, ma la visita è stata interessante e cosi vado a complimentarmi con Mons. Giuseppe che ha fortemente voluto realizzare questa raccolta. Si dimostra piuttosto rammaricato della poca affluenza dei visitatori e mi confessa anche la scarsa attenzione dei salentini per la raccolta.

E’ certo che l’uomo non vive di solo pane, ma è anche vero che la cultura non si acquista al mercato! Quante volte abbiamo dovuto constatare che, soprattutto nella stagione estiva, la pubblicità riservata alle sagre è di gran lunga superiore a quella riservata alle iniziative culturali. Penso che la scuola dovrebbe svolgere con maggiore responsabilità il suo compito, perché ad essa è affidata la formazione dei giovani, la futura classe dirigente, a cui sarà affidata la custodia e la valorizzazione del nostro patrimonio artistico.

A questo punto vorrei fare una riflessione: durante i miei frequenti soggiorni a Firenze ho notato come alcuni musei come gli Uffizi, Pitti ecc. sono presi tutti i giorni d’assalto, altri invece, pur contenendo opere pregevolissime, sono frequentati solo da piccoli gruppi, magari stranieri. giapponesi e tedeschi soprattutto, come mai? La stessa cosa mi è capitata tutte le volte che ho accompagnato i miei alunni al Louvre. Li davanti al quadro della Gioconda di Leonardo c’è sempre una piccola folla che si accalca come se dovesse parlare da un momento all‘altro, mentre due altri quadri dello stesso Leonardo, la “Vergine delle Rocce” e “La Vergine Sant’Anna e Gesù Bambino“, di gran lunga più belli e interessanti sotto ogni profilo, esposti nella stessa stanza e sul medesimo muro passano quasi inosservati. Da cosa dipende? Secondo me dal buon senso: la gente è incuriosita dai mas-media che non fanno che parlare dei soliti artisti, presentandoli magari come strani esseri che hanno avuto una vita costellata di avventure particolari, di questi si propongono aspetti che con la loro arte non hanno nulla a che fare; ma ciò produce audiens e questo conta! Ma l’Arte in qualsivoglia forma si esprima è roba per gente colta e raffinata, gente che è stata educata sui libri e che è attirata dalla necessità di sentire emozioni, di scoprire il fascino segreto dell’attività creativa e scoprire la grandezza di Dio che si rivela attraverso l’opera creatrice dell’uomo.

Donato Minonni li 15- 11 - 09

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